Taccuino Quirinale, la griglia dei partecipanti alla “corsa”

All’elezione del nuovo presidente della Repubblica manca ancora un mese e mezzo ma già circolano nomi di candidati, con aspirazioni più o meno sommerse. A cominciare da quello che è di fatto un’autocandidatura, Silvio Berlusconi. Una anomalia certamente, almeno nelle forme in cui si sta sviluppando perché non si ha memoria, dalla nascita della nostra Repubblica, di una autopromozione (anche con interventi giornalieri della sua cerchia ristretta) così evidente. E’ bene ricordare che quelli che vengono lanciati (o si lanciano) in pista ben prima della data di inizio votazioni sono quasi sempre nomi che si bruciano – a volte è l’intenzione di questo o quel partito politico per eliminare un concorrente potenzialmente scomodo – oppure candidati di bandiera, proposti per tenere nascosto fino in fondo il vero concorrente. In questo quadro i nomi che circolano per la salita al Colle sono molti, forse troppi rispetto a quello che dovrebbe essere l’obiettivo principale delle forze politiche: convergere su un nome in grado di rappresentare l’unità nazionale ed essere espressione di accordi che vadano oltre le scelte di parte. Nella griglia dei nomi non si può non partire dall’attuale capo dello Stato Sergio Mattarella. Non perché il giurista siciliano sia candidato, o si sia addirittura autocandidato, ad un bis ma perché da più parti si spinge affinché rimanga al Colle. Almeno fino alle nuove elezioni politiche del 2023 permettendo così all’attuale presidente del Consiglio, Mario Draghi – è il ragionamento fatto – di portare a casa il Pnrr e condurre il Paese fuori dalla pandemia. E senza dimenticare che un presidente che non fosse Mattarella ancora, aprirebbe una incognita comunque sulla durata del governo attuale. Oppure, se fosse Draghi a salire al Quirinale la strada verso le elezioni si farebbe sempre più in discesa. Sono ragionamenti, tattiche, strategie che ormai attraversano le giornate politiche delle formazioni del centrodestra come di quelle del centrosinistra. Schermaglie che ovviamente non si limitano ad avere come conseguenza quella di tirare per la giacca i due presidenti – Mattarella con decisione in più occasioni ha lasciato intendere di non contemplare nel suo futuro una permanenza al Quirinale che ritiene comunque una forzatura, e Draghi rimane in vigile silenzio sul tema – ma permettono anche di esplorare i possibili concorrenti per la corsa al Colle. Partendo dalla considerazione fatta dal segretario del Pd Enrico Letta: “Ci vuole una maggioranza larga” per trovare il nuovo presidente. Come dire, a tempo debito, sediamoci intorno a un tavolo e parliamo, tutti.

I nomi che circolano sono tanti, uomini e donne, alcuni con reali possibilità di ascendere al Colle, altri inseriti nel calderone delle tattiche. Nomi che potrebbero emergere, in mancanza di accordi che ad oggi non si vedono (ma è ancora presto), dalla quarta votazione in poi, dove servirà la maggioranza assoluta dell’assemblea. Oltre Draghi e Mattarella (con i distinguo espressi in precedenza), sul campo dicevamo c’è Silvio Berlusconi. Un desiderio mai nascosto quello dell’ex premier ma difficile che possa essere esaudito, non dimenticando le pregiudiziali (anche se molto sembra smorzarsi in questo bailamme di candidature) di una parte di Pd e M5s. In aggiunta, non è detto che Salvini e Meloni alla fine lo sosterranno sul serio.

Altro nome di peso potrebbe essere quello di Pier Ferdinando Casini, ex presidente della Camera ed ex dc in grado di attrarre consensi trasversali. Finora non ha detto una parola.

Ricorre sempre il nome di Romano Prodi, ex premier e vincitore delle due tornate elettorali nazionali che lo videro contrapposto a Berlusconi. Ha ancora sulle spalle i 101 franchi tiratori che gli impedirono nel 2013 di diventare capo dello Stato. Da mesi ormai si dedica a commentare sui giornali quanto accade ma non interviene mai sulla corsa al Colle. Anzi, in più di una occasione ha detto chiaramente di non avere intenzione di partecipare alla gara quirinalizia.

Figura di rilievo la giurista e attuale ministro Guardasigilli Marta Cartabia. La presidente emerita della Consulta non appartiene al mondo della politica e sconta problemi, incomprensioni con M5S. Se riuscisse (lei o altre) sarebbe la prima donna al Quirinale.

Altra donna di rilievo istituzionale Paola Severino, professoressa universitaria e già ministro della Giustizia. Personalità forte, potrebbe scontare – nell’appoggio del centrodestra – l’essere stata il ministro che ha portato con la sua legge anticorruzione Berlusconi fuori dal Parlamento.

C’è poi Giuliano Amato. Un curriculum politico-istituzionale eccezionale per l’attuale vicepresidente della Consulta, più volte entrato nelle liste di candidati. Ha buoni rapporti con quasi tutto il panorama partitico italiano. E’ quella che viene considerata una “riserva della Repubblica”. Una citazione anche per l’ex premier e commissario Ue Paolo Gentiloni, tirato in ballo da alcuni settori del Pd nelle scorse settimane. Anche attorno a lui però è arrivato il silenzio.

Se parliamo di riserve della Repubblica non possiamo non parlare dell’ambasciatrice Elisabetta Belloni, oggi alla guida dei servizi di sicurezza e per molti anni segretario generale alla Farnesina.

Rimanendo sul lato femminile le personalità in grado di correre per la presidenza non mancano. A cominciare dalla presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati per arrivare a Rosy Bindi, già ministro ed ex presidente della commissione parlamentare Antimafia. Infine Emma Bonino, ex commissario europeo ed ex ministro della Difesa e anche lei in passato inserita tra le possibili presidente della Repubblica.

Questi alcuni dei nomi che circolano, altri probabilmente se ne aggiungeranno da qui a gennaio. Anche se molti continueranno a sollecitare un sacrifico estremo di Mattarella nel caso dovesse peggiorare la pandemia o il Parlamento si trovasse incartato, lacerato dagli scontri e non in grado di esprimere una figura condivisa. Un ulteriore richiamo potrebbe arrivare a Mattarella qualora si andasse a votare a oltranza dopo la quarta votazione, senza venirne a capo. Ma il capo dello Stato fin qui è stato molto netto e chiaro: non vuole partecipare a questa gara.

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